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Aborto, no a Zingaretti: obiettori senza intermittenza. I tanti paradossi in Italia…

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Nicola-ZingarettiIl presidente del Movimento per la Vita Carlo Casini ha reso nota l’ordinanza del Consiglio di Stato che ha sospeso l’efficacia del provvedimento emanato dal Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, che obbligava i medici obiettori di coscienza che operano nelle strutture pubbliche, a rilasciare i certificati per l’aborto.

Ovviamente la sentenza non entra nel merito della questione che ora dovrà essere valutata dal Tar, ma per i medici cattolici che praticano l’obiezione si tratta di un risultato importante visto che, di fatto, rimuove un’imposizione da questi considerata inaccettabile. Senza entrare nell’aspetto giuridico della materia ma restando su quello prettamente politico, viene da chiedersi: è opportuno che un governatore di Regione, per altro nominato dal Governo commissario straordinario alla sanità del Lazio con l’incarico di risanare i conti pubblici in profondo rosso, assuma decisioni così impegnative e delicate che vanno a colpire la libertà di coscienza del singolo individuo?

Si ha come la sensazione che per certa cultura laica e di sinistra, ovviamente rispettabilissima, la libertà di coscienza debba valere sempre e solo a senso unico; se il cattolico è di idee progressiste e quindi non chiuso su determinate tematiche riguardanti la sfera etica e sessuale (l’aborto appunto, il fine vita, le coppie di fatto, le nozze gay) allora evviva la libertà di coscienza se questa è orientata a non condividere ad esempio le critiche dei vescovi sulla registrazione delle unioni omosessuali da parte dei Comuni. Per fare un esempio; il cattolico sindaco di Roma Ignazio Marino ha il diritto di sfidare apertamente i moniti del Vicariato di Roma e della Cei ed iscrivere unioni gay contratte all’estero, senza che questo comporti per lui alcuna “scomunica” sul piano religioso. Se però la libertà di coscienza va in direzione opposta, vedi il caso dei medici cattolici che rifiutano di rilasciare certificati per l’aborto o di prescrivere farmaci per l’interruzione volontaria di gravidanza, ecco che quella libertà di coscienza perde di colpo la sua “sacralità”.

La scelta etica del medico obiettore diventa un gesto di intolleranza, la negazione di un diritto per la persona che vuole abortire. Spiacenti, ma non può funzionare così.

La coscienza non può essere considerata libera ad intermittenza. Non si può plaudire al sindaco cattolico che sfidando i diktat dei vescovi istituisce il registro delle unioni civili e nel contempo condannare il medico cattolico che rifiuta di interrompere una gravidanza. Perché, il diritto delle donne di abortire non può avvenire a scapito del diritto del medico di rifiutarsi, per scelta etica, di praticarlo. Anche perché mentre l’aborto può essere tranquillamente praticato da un altro medico non obiettore, al medico cattolico viene di fatto imposto un qualcosa che va contro le sue convinzioni etiche e religiose; nel primo caso il diritto viene negato solo parzialmente e non in maniera irreparabile, nel secondo invece il diritto è negato a 360 gradi, anzi si assiste alla negazione di un inviolabile principio di libertà. Il governatore Zingaretti molto probabilmente ha ceduto ad una martellante campagna di stampa in atto da tempo e rivolta a far passare il messaggio sbagliato secondo cui, negli ospedali pubblici per colpa dei troppi medici obiettori non si consentirebbe alle donne di abortire. Così, pur essendo la sua maggioranza composta anche di cattolici, ha emanato questo provvedimento sicuramente discutibile sul piano politico, che ha spinto le associazioni dei medici obiettori e il Movimento per la Vita a presentare ricorso.

Sono i paradossi di un’Italia che cammina a senso unico, dove la laicità più che un principio sembra intesa come un’imposizione. Ma laicità dello Stato non può e non deve significare l’obbligo per chi è cattolico di andare contro la propria coscienza. Chi non crede e ritiene giusto l’aborto non può obbligare chi lo considera un omicidio a macchiarsi di un peccato grave. Perché la libertà di ciascuno dovrebbe finire laddove inizia quella dell’altro. E allora?

 


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